Da Seattle a Tsushima
Come creare un’esperienza di gioco immersiva, di Davide de Rosa
Di recente ho avuto il privilegio di seguire un intervento di Nate Fox per VIEW Conference, un ricco approfondimento sul processo di creazione dietro Ghost of Tsushima, l’ultimo gioco dei Sucker Punch per PS4 e, ora, PS5. L’intervento è disponibile sul sito di VIEW come parte dell’On-Demand Pass, insieme a tanto altro materiale proveniente dall’edizione 2020 di VIEW Conference. Un’edizione davvero strepitosa, che deve il suo successo anche e soprattutto allo sforzo costante di Maria Elena Gutierrez, CEO di VIEW. Quello di Nate Fox in particolare è un contenuto davvero straordinario, ne consiglio vivamente la visione.
Osservando una qualsiasi schermata di gioco di Ghost of Tsushima è possibile fare immediatamente due ipotesi. La prima è che il team che ci ha lavorato nutra una passione smisurata verso i samurai ed il loro mondo, la seconda è che la creazione del gioco, in virtù di questa passione, sia stata priva di eccessivi sforzi.
La prima ipotesi è senza dubbio vera: Nate Fox, Creative Director del gioco, è un grandissimo appassionato di film sui samurai e considera I Sette Samurai di Kurosawa il suo piece of medium orientale preferito in assoluto. La seconda ipotesi però non può che rivelarsi falsa, in quanto, sebbene motivati da una grande passione, i Sucker Punch restano un team di sviluppo con sede a Seattle, Washington, USA.
Diversamente da quanto avvenuto con il loro precedente gioco, Infamous: Second Son (ambientato proprio a Seattle), per Ghost of Tsushima si è reso necessario un lavoro di ricerca sul campo oltreoceano. Affidandosi alle mani dei colleghi di Sony Japan Studio, i membri del team artistico di Sucker Punch hanno avuto occasione di effettuare delle visite guidate in Giappone, la prima di queste proprio sull’isola di Tsushima, ambientazione del gioco.
L’esperienza sul campo si è rivelata essere di fondamentale importanza nel forgiare il prodotto finale, permettendo a Nate Fox ed al suo team di comprendere elementi che non avrebbero mai potuto dedurre unicamente dalla visione dei film Jidai-geki (di samurai, appunto), ma che contribuiscono in gran parte allo spirito del gioco.
Il valore che viene dato ai varchi d’ingresso d’un tempio, considerati veri e propri portali verso mondi di naturale bellezza, viene ripreso più volte nel gioco, che sfrutta passaggi di questo tipo per canalizzare un cambiamento nel mondo di gioco o nel protagonista, il samurai Jin Sakai. O ancora, il modo in cui nel gioco la violenza più sfrenata si alterna alla calma più assoluta ha probabilmente origine da un inaspettato momento di pausa in una radura condiviso da Nate Fox ed un suo collega. Lì, seduti su un masso, circondati dalla vegetazione e dal leggero ma costante frinire degli uccelli, fu chiaro che quella sensazione potesse e dovesse essere inserita all’interno di Ghost of Tsushima.
Nella creazione del mondo di Ghost of Tsushima i Sucker Punch hanno messo al primo posto l’autenticità, a volte persino a discapito dell’attendibilità storica. Fondamentale era creare un’esperienza di gioco che fosse coinvolgente per il giocatore, in grado di fargli vivere in prima persona le vicende di Jin Sakai. Per garantire tutto ciò, sono state prese delle decisioni in fase di sviluppo che, sebbene controcorrente, sono poi risultate essenziali nel far spiccare Ghost of Tsushima tra la pletora di giochi open-world disponibili sul mercato.
Fin da subito è stato chiaro che l’UI, l’interfaccia utente, dovesse essere il meno invasiva possibile. Per quanto solitamente l’UI contribuisca a comunicare importanti informazioni al giocatore, è anche artefice di una disillusione di quest’ultimo, un promemoria della natura videoludica dell’esperienza
Facendo a meno di indicatori della salute, minimappe, obiettivi su schermo e quant’altro, i paesaggi di gioco tornano a respirare sullo schermo, riappropriandosi dell’interesse del giocatore, che si ritrova ad esplorarli in maniera organica, completamente guidato dal suo istinto. Una delle idee più originali del gioco è nata proprio da questa decisione: dovendo fare a meno di segnalini e obiettivi che indicassero il luogo di svolgimento delle missioni, si è affidato questo ruolo al vento che, a seguito di un input del giocatore, soffia indicando la via da seguire.
Il processo di creazione che c’è dietro Ghost of Tsushima è peculiare poiché dimostra che, sebbene la passione sia un grande motore per la creazione di un progetto, resta necessario un grande impegno ed una grande predisposizione ad apprendere nuove conoscenze da sfruttare affinché si possa rendere quel sogno tangibile per chiunque.
L’impegno di Nate Fox e Sucker Punch è stato ampiamente riconosciuto, non solo dal pubblico occidentale (Ghost of Tsushima ha vinto il Player’s Choice ai The Game Awards di quest’anno), ma anche e soprattutto dalla critica oltreoceano, guadagnandosi un Perfect Score su Famitsu (più importante rivista di critica videoludica in Giappone) e i più sinceri complimenti di Toshihiro Nagoshi, Director della serie Yakuza, una vera e propria autorità di riferimento in merito.
È la prova, a detta dello stesso Nate Fox, che una grande passione sia in grado di superare qualsiasi barriera culturale e di creare qualcosa di nuovo; così come fu per Sergio Leone ed i suoi spaghetti western, così è ora per Sucker Punch e Ghost of Tsushima, il loro “cheeseburger samurai”.